Nel mondo occidentale solo il 4% delle donne che ha un tumore viene informato dai medici della possibilità di preservare la propria fertilità: è uno dei dati presentati da Mariavita Ciccarone, ginecoloca e presidente dell’associazione Gemme Dormienti, al corso ”Linfomi e preservazione della fertilità femminile” organizzato a Roma dal Gruppo linfomi Lazio. I tumori del sangue, come linfomi, leucemie e mielomi, sono tra quelli più frequenti in età giovanile. Tra i 14 e 40 anni, secondo i dati di uno studio Istat-Istituto superiore di sanità, rappresentano ”il 27% dei vari tipi di cancro”. L’esistenza di questi trattamenti ”dovrebbe essere comunicata a tutti i pazienti dall’oncologo – precisa – cosa che purtroppo non avviene molto spesso. Nel mondo occidentale ad esempio viene detto solo al 4% delle donne con un tumore che c’è la possibilità di proteggere la propria fertilità dagli effetti di chemio e radioterapia con diverse tecniche”. Per questo è molto importante che gli specialisti, come oncologici e ginecologi, siano informati di questa possibilità, in modo da poter inviare le pazienti ai centri di riferimento. ”Di fatto in Italia -continua Ciccarone – i migliori centri di eccellenza in questo ambito si trovano al Nord, in Lombardia, Emilia Romagna e Piemonte. In altri centri si è iniziato a fare dei cicli di stimolazione ovarica sulle pazienti con cancro, in modo da far loro produrre degli ovuli da poter congelare, ma si tratta ancora di piccoli numeri”. Tre fondamentalmente le tecniche utilizzate per preservare la fertilità nelle donne: una è quella di ‘mettere a riposo’ le ovaie con dei farmaci, in modo da ridurre il danno prodotto dalla chemioterapia; l’altra è quella di preservare gli ovociti, prelevati e congelati dopo una stimolazione ormonale, come in un ciclo di fecondazione assistita; e la terza è quella di conservare il tessuto ovarico, che poi verrà reimpiantato una volta terminate le cure.
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